NUOVO STATUTO OSTAGGIO DEL NUMERO DI CONSIGLIERI MENTRE SI PERDONO GRANDI OPPORTUNITA'.

Giovedì scorso è inziata la discussione generale sulla nuova proposta di statuto del Veneto. Non che la cosa entusiasmi molto i Veneti se non per sapere come andrà a finire sul numero dei consiglieri regionali (60, 50, 40 , 30, 29.....). Io sono intervenuto insistendo sul riconoscimento della "metropoli inconsapevole" e sull'importanza del governo delle sue funzioni strategiche, oltre che sulla necessità di una "efficacia" dell'istituzione regione. Il testo è la trascrizione del verbale, appena ritoccato. Ieri è ripresa la discussione, questa volta sui singoli articoli.


Quando nasceva la Regione Veneto, nel 1971, io andavo in prima elementare e quindi posso dire di essere a tutti gli effetti un figlio di questi 40 anni di Regione Veneto, del suo sistema economico, di uno sviluppo diffuso in tutto il territorio, con il suo modello insediativo policentrico. Anche i piccoli e medi Comuni dovevano diventare protagonisti, cento campanili e cento zone industriali. Oppure del suo sistema sanitario rispetto al quale questa Regione ha fortemente investito. Insomma, anche se non ho assistito alla sua nascita ho avuto la fortuna di partecipare al Consiglio dei quarant’anni che abbiamo fatto lo scorso anno. In quella occasione ho pensato che i costituenti veneti, con tutti i loro pregi e difetti, comunque la loro visione del Veneto sicuramente l’hanno vista realizzata. Hanno visto il passaggio di una regione uscita dal dopo guerra con una economia arretrata, legata all’agricoltura, transitare rapidamente all’industria manifatturiera, tale da collocarla tra le più sviluppate in Italia. Una regione caratterizzata da una forte enfasi sulle autonomie locali - anche troppa forse -, con una predilezione per le infrastrutture stradali e quindi per la mobilità individuale, per una produzione di beni pubblici che ha guardato molto alla sanità e al sociale e forse poco all’ambiente e alla difesa suolo. Insomma, con i valori e l’architettura istituzionale dello statuto del 1971, penso che quei costituenti possono dire che quel Veneto che avevano immaginato oggi è qui.
E le politiche di questi ultimi quattro decenni si sono realizzati in un Consiglio che direi consociativo, non in senso dispregiativo, ma nel senso etimologico di unire in società. Lle forze politiche che ne sono state protagoniste hanno fatto di tutto, pur nel gioco delle parti e nella diversità di ruoli, perché fossero contemperati gli interessi di questa regione e in particolare gli interessi dei produttori, intesi come lavoratori, come lavoratori autonomi, come dipendenti, come imprenditori, come piccola e media impresa. Politiche interclassiste a tutti gli effetti. Quindi non dico che quello Statuto e quei costituenti hanno determinato questo sviluppo, ma sicuramente l’hanno promosso e, in parte, assecondato. Mi pare che non sia poco.
Ora, a distanza di 40 anni, forse noi misuriamo, anzi, senza forse, misuriamo tutti i limiti di questo modello, il cosiddetto modello Veneto. Il policentrismo non regge alla nuova fase economica, il peso del manifatturiero probabilmente è troppo alto rispetto alle economie mature di altre aree europee, il terziario debole, specie quello avanzato. C’è una carenza di alcuni beni pubblici, la tutela dell’ambiente per esempio, come ha dimostrato la recente alluvione, la rete infrastrutturale è sbilanciata, manca una infrastruttura per la mobilità collettiva, la stessa coesione sociale mostra segni di cedimento sotto la pressione migratoria e demografica dell’invecchiamento.
La società e l’economia sono così cambiate che questa Istituzione, se rimane com’è, non può che risultare agli occhi dei veneti anacronistica. Non è solo un problemi di costi, è un problema che non ci riconoscono come Istituzione utile e come Istituzione produttiva, come Istituzione efficace ad affrontare le sfide rapide, sconvolgenti della globalizzazione. E se i veneti non ci riconoscono come Istituzione all’altezza dei tempi diventiamo troppo costosi oltre che anacronistici.
Che cosa c’entra tutto questo con lo Statuto? Avere la carta di identità in poche ma importanti occasioni è decisivo. La teniamo sempre in tasca e non la utilizziamo ogni giorno, ma in alcuni momenti se non l’abbiamo le conseguenze, sul piano individuale, possono essere anche considerevoli.
Ritengo che il lavoro della Commissione abbia raccolto una serie di sfide che la trasformazione della società e dell’economia ci pone davanti e l’abbia tradotto in un testo con alcuni principi/valori, chiamiamoli come vogliamo, condivisi: un Veneto aperto, inclusivo, dove abbiamo tendenzialmente una espansione dei diritti. Un ripensamento delle autonomie, nel senso che la polverizzazione dei nostri Comuni e del nostro governo locale, lo misuriamo come insufficiente ad affrontare la complessità della gestione dei servizi, il dimensionamento delle attività di governo del territorio. Il riconoscimento che il modello policentrico non è più in grado di rispondere alle necessità, uso questo termine, del capitalismo dei flussi e delle reti.
E’ l’area centrale del Veneto, che è un’area metropolitana inconsapevole e non governata, quest’area che interessa la dorsale tra Verona e Venezia, che deve affrontare i temi di questa nuova fase economica che vede le reti infrastrutturali, materiali e immateriali, di conoscenza così come di mobilità, le fiere, il porto, l’aeroporto, insomma tutti questi nodi che diventare fattori competitivi nell’economia di questo secolo.
Allora, il governo di queste funzioni strategiche se non viene riconosciuto innanzitutto nella carta di identità di questa Regione rimarrà nello stato in cui è, cioè essenzialmente ingovernato. Il tema del governo delle funzioni metropolitane, ripeto, non si tratta semplicemente della definizione della città metropolitana, cioè di quelle funzioni che sono decisive nella fase economica che si è aperta è centrale nella nuova definizione dell’identità del Veneto.
A questo aggiungo il governo di aree che sono esterne a questa dorsale centrale, mi riferisco in particolare alla situazione della montagna veneta che invece deve affrontare dei percorsi di sviluppo inediti. Arre che si portano dietro dei deficit di sviluppo e che potrebbero approfittare di proprio di questi decifit come nuove opportunità in termini di sostenibilità ambientale, coniugando modalità di sviluppo con sostenibilità nell’uso delle risorse naturali e non solo.
Se non modifichiamo la nostra carta di identità e non modifichiamo le modalità attraverso le quali vengono governati questi processi, l’Istituzione Regione perderà progressivamente il suo ruolo, ma temo che il Veneto stesso come insieme di interessi, di soggetti economici e sociali vada verso una posizione di marginalità nel panorama italiano ed europeo.
Il numero dei Consiglieri in tutto questo è un aspetto, lasciatemi dire, che potremo tranquillamente trattare con una maggiore serenità, considerato il peso che ha all’interno di questa impalcatura. Il tema è: come si seleziona una classe dirigente per una istituzione regionale che vuole essere efficace e produttiva nel governo di questa nuova fase? Non si tratta semplicemente di costi, di numero di Consiglieri. Da quando la legge elettorale regionale prevede l’elezione diretta del Presidente con sistema maggioritario, è ovvio che quella che è stato per 40 anni il consociativismo - e lo ripeto, lo uso in termini non dispregiativi - nel governo di questo Regione va superato; perché nei sistemi maggioritari i ruoli, i rapporti tra Esecutivo e Assemblea, tra la maggioranza e l’opposizione, sono calibrati su tutt’altri parametri di confronto. E’ indubbio che un sistema maggioritario porta ad una ruolo più forte dell’Esecutivo e quindi porta normalmente ad un ruolo di indirizzo e controllo più forte dell’Assemblea.
Se questo dibattito continuerà a rimanere ostaggio del tema “numero dei Consiglieri” certamente noi perdiamo una grandissima occasione per rimettere al centro, per ridare una credibilità, un ruolo, una autorevolezza all’Istituzione regionale di cui c’è grande necessità; perché, ripeto, nel capitalismo dei flussi, finanziari, delle persone e delle merci e delle reti infrastrutturali materiali e immateriali, se non c’è un governo di scala regionale non si sta al passo con i mutamenti che sono in atto.
In questo senso, mi auguro che già domani mattina perché aspettare oltre non dico stasera, noi dovremo riuscire in quest’Aula a dirci chiaramente su questo tema dei numeri qual’è il punto di incontro per liberarci di quest inciampo e andare al confronto invece sui temi più importanti, di una carta di identità che dobbiamo rifare, e tenere in tasca per i momenti difficili e decisivi.