Il Veneto ha un nuovo piano socio-sanitario dopo 16 anni
e questo è comunque un bene. Con 30 voti a favore (PDL e Lega), 19 contrari (PD, IDV, Fed.Sinistra, Verso Nord)) e 3 astenti (UDC) mercoledì scorso il Consiglio regionale ha licenziato il provvedimento. Alcune lacune siamo risuciti a colmarle, altre no. Restano nel piano buchi spaventosi come quello
sul sociale, dovuti alle divisioni
tutte interne alla maggioranza, che rischiano di rendere ingestibile il
piano per il futuro.
La nostra
azione in commissione prima e in Consiglio dopo ha portato a sostanziali modifiche. Se il Veneto avrà
calcolo dei costi e dotazioni standard già dal 2014 è anche e
soprattutto merito nostro. Così come merito del PD è
la definizione delle rette indicative per le strutture residenziali e
semiresidenziali, oppure l’affidamento dei servizi sociosanitari al
terzo settore, solo per fare alcuni esempi.
Nonostante il nostro contributo al miglioramento,
rimane insufficiente l’intero impianto del comparto sociale, dove
mancano definizioni chiare dei livelli essenziali
di assistenza sociale e nessun maggior rilievo è stato attribuito alle
conferenze dei sindaci. Se la parola d'ordine del nuovo piano piano è "meno ospedale, più territorio", senza una chiara definizione dei servizi essenziali e garantiti e un ruolo di co-protagonisti delle comunità locali e dei loro rappresentanti (i sindaci), la crescita dell'assistenza territoriale rimane un'incognita. Così anche la risposta alla non autosufficienza è rimasta ancorata a un sistema (le impegnative idividuali) che ha mostrato tutti i suoi limiti. Proprio qui abbiamo avvertito le maggiori tensioni
interne alla maggioranza, quelle stesse che ci fanno temere sulla capacità
di garantire in futuro la sostenibilità della nuova programmazione. Ora tocca alle schede opedaliere e territoriali, il passaggio forse più difficile perchè dalle intenzioni si passerà ai fatti.
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